SCRIVO PER RIVIVERE

Roberto Mussapi, Compassione e mistero
Tre poeti - Heaney, Luzi e Bonnefoy - accostati per affinità elettive dall’altro poeta – Mussapi - che qui ne scrive e con loro intrattiene un rapporto originario. Religioso, oserei dire, alla latina: li sceglie, se ne prende cura e ne sente la comunione, ne fa comunità. Di spirito e di parola. Sono infatti per lui tradizione, la sua, in quanto maestri o compagni di viaggio con cui intessere un dialogo sostenuto sul margine. Perché se poesia è soglia – e certamente ha a che fare con compassione e mistero – è anche parola che torna nel mondo, universale e straniera: dallo scavo e dal regno della torba, in Heaney; incandescente e molteplice, quella di Luzi; e come “nuda elementarità creaturale delle cose” in Bonnefoy. Se Heaney, attraverso il ricorrente viaggio infero e purgatoriale, testimonia “l’incessante incontro tra le forze del mito e la realtà storica” arrivando a far coincidere visione e senso quotidiano grazie allo scavo del poeta che sente “un’infinita, minerale pietà per tutto” ben conscio che sapere è soffrire, una delle lenti scelte da Roberto Mussapi per descrivere l’impresa poetica di Luzi è quella shakespeariana di Riccardo II, in cui si condensano la figura e il senso del poeta: essere la voce di tutti, mezzo tramite cui il diverso si esprime e crea legami; ma il privilegio coincide con il prezzo di essere nulla, il destino del poeta, l’umiltà che lo contraddistingue perché, scrive Luzi, “solo a patto che egli rinunzi a isolarsi e ad astrarsi negli attributi peculiari e tipici e per ciò stesso accidentali della sua personalità, gli sarà dato di percepire e di esprimere adeguatamente alcunché del ritmo perpetuo dell’esistenza”. Il ritorno di Bonnefoy, poi – nella carrellata che Mussapi ci dispiega davanti agli occhi dalla grecità alla crisi del Novecento guardando alla figura tanto cara ai poeti dell’uccello (da Poe a Coleridge a Whitman) – si compie nell’anelito a una lingua elementare, voce dell’anima del mondo, e si condensa nel mito di Zeusi che dipinge degli acini d’uva così verisimili da attirare i becchi dei volatili: l’artista sviluppa un’energia e una forza capaci di conquistare anche gli animali e così racconta la storia di come l’uomo tenti di riguadagnare” la nuda elementarità creaturale delle cose, per mezzo dell’arte”. Mussapi sembra accogliere la lezione di Wilde sul critico: non è infatti mero recensore, ma appassionato compagno che delle opere dei maestri interpreta e prolunga il fascino amplificandone il racconto.
Rossella Pretto