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Il mare come elemento in cui si attiva la vita...

  • Immagine del redattore: Rossella Pretto
    Rossella Pretto
  • 7 ott
  • Tempo di lettura: 3 min

Si diceva, il mare (lo dicevo in un post che potete trovare qui)…


Il mare come elemento in cui si attiva la vita e come rimozione dei limiti, sconfinamento. Potenza in atto e dissoluzione. Il mare da cui siamo attratti, come viandanti su un mare di nebbia o turisti in cerca di svago, di vacanza. Ma vacanza da cosa, potremmo chiederci.


Vacanza è temporanea sospensione, indeterminazione tra due certezze. E dunque momento di ripensamento - possibile, non necessario. Momento in cui tutto può essere rovesciato. Come dalla furia di un’onda che riporta il sotto sopra e il sopra sotto. E da qui vorrei partire. Da qui e da un articolo di Antonio Spadaro su Avvenire di domenica 5 ottobre. Prendiamo dunque un momento di vacanza per aprire una finestra sull’oggi.


Immaginare è resistere, la visione un atto politico, scrive Spadaro, cioè titola il titolista del quotidiano. Per Spadaro (e non è il solo), il presente evapora e il futuro diventa distopico. Scrive: «Rimane la claustrofobia di un presente che si ripete, come se il futuro fosse stato sequestrato». È il regno dell’Ipnocrazia, quella di Xun. Serve coraggio, quello sufficiente ad abbandonare il già sperimentato, il presente conosciuto, anche quello infernale e algoritmico che viviamo, assodato per quanto ipnotico, per credere in un oltre-ora. Dobbiamo immaginare l’esistere appena un attimo al di là del presente che muore. Esercitare la facoltà che costruisce il futuro. «La realtà non è una lastra di granito, ma una bozza, una beta version, una scrittura in corso. Se è così, allora immaginare, sognare, non è un lusso: è un dovere civile e spirituale». Che parole chiare, dirette!


L’immaginazione, dunque, «arte difficile che richiede allenamento», ed espone, ha bisogno di nuovi linguaggi e di spazi e incroci, ibridi. Spadaro propone la figura dell’hacker per raccontare la sfida a cui siamo chiamati. L’hacker non come pirata ma quale indagatore del profondo, colui che cerca i codici nascosti. Tornare dentro sé stessi, come invitava Agostino. Ma per uscirne nuovamente pronti all’incontro. L’hacker diventa «un lettore e un riscrittore del reale». Ecco allora l’esortazione a mantenere aperto lo spazio critico che si abita anche tramite l’immaginazione. «Una generazione intera sembra stretta tra questi due poli: da una parte il disincanto radicale, dall’altra l’illusione di mondi perfetti. Ma forse la via d’uscita sta altrove, nello spazio in cui le visioni si intrecciano con la concretezza delle crisi. Non si tratta di fuggire dal mondo, ma di abitarlo con radicalità». E dunque c’è bisogno di vacanza, di essere vacanti e abbandonare i pensieri già pensati, abbandonare i due poli della tensione per uscire da sé, o meglio, dall’immagine di sé, per avventurarsi nell’abisso, in quell’altro sconosciuto che forse può dare risposte sconcertanti e inaspettate. Disarmanti e disarmate. È questo il compito dell’immaginazione. È questo il compito della scrittura, stretta tra impegno e integrità, dovere di testimonianza ma anche di visione che oltrepassa il presente, militanza e disimpegno, il dovere di essere vigili e ubiqui. Esercitare il dubbio e mettere alla prova qualsiasi certezza. Ogni volta ne saremo stupiti. E questo non significa rinunciare all’azione. Anzi. Con il cuore aperto e la mente attiva si riuscirà a usare maggiormente i corpi, a farli uscire di casa ed esporli all’incontro. Ecco cosa sono state le piazze dei giorni scorsi. Mondi alternativi, modi alternativi di agire il dubbio e di agire al di là dell’indifferenza e della sofferenza individuali. Alla voce piazza, il vocabolario Treccani recita: «Area libera, più o meno spaziosa, […] che si apre in un tessuto urbano, […] e ha la funzione urbanistica di facilitare il movimento ed eventualmente la sosta dei veicoli, di dare accesso a edifici pubblici, di servire da luogo di ritrovo e di riunione dei cittadini, costituendo non di rado il centro della vita economica e politica della città o del paese». Il centro, si dice. Uno spazio vuoto, vacante, da riempire di nuovi corpi che si intrecciano e idee che si ibridano. Come una marea montante che crede in valori dimenticati, deposti, quasi scandalosi per il loro candore. Esporre i propri bianchi corpi in spiagge battute dalle onde della disapprovazione, sorde alle richieste della diversità, assomiglia (alla lontana, certo, molto alla lontana) alla prova di coraggio di chi, arrabbiato, abbassa la difesa e prova a ridare potere alla parola che costruisce un’idea di pace. Bisogna essere inermi, accettare di esserlo e correre il rischio di farsi colpire ancora più crudelmente, per abitare la vacanza come luogo in cui si intercetta la presenza necessaria a dirsi umani.


Rossella Pretto

 
 
 

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