top of page

A proposito di Improvvisamente l’estate scorsa…

  • Immagine del redattore: Rossella Pretto
    Rossella Pretto
  • 7 lug
  • Tempo di lettura: 5 min

L’ho visto a teatro. Per la prima volta.


A Milano, al Carcano. Una produzione del Lac Lugano con la regia di Stefano Cordella e la sempre splendida Laura Marinoni.


Ma la rivelazione, davvero sopra a ogni cosa, è stata Leda Kreider: bravura senza pari. Lo dico da eterna scontenta di certo birignao teatrale che manca di dare anima ai personaggi in scena, che manca di coraggio nel dono. Leda Kreider non ha di questi problemi perché propone una Catherine che si riversa totalmente, con generosità disarmata e vulnerabilissima davanti al pubblico, si dona senza rete. To jump into an empty pool, si diceva in certi ambienti laboratoriali romani ispirati al metodo americano della scuola Black Nexxus di Susan Batson. Quel brivido che stringe libertà e morte in uno stesso slancio, come quello del Tuffatore di Paestum, iscritto nella lastra della tomba scoperta nel 1968. Abbiamo tutti in mente l’immagine dell’uomo che si lancia dal trampolino, quella giunta fino a noi dal lontano V secolo a.C. (il secolo di Sofocle). Emblema dell’attraversamento, del transito da una dimensione all’altra, e della condizione umana tout court, in aereo equilibrio sul fragile filo tra la vita e la morte; ma anche simbolo per eccellenza del volo della poesia, di chi sfida il vuoto per immergersi negli abissi dove luce è sonoro miraggio.


Di cosa parla Improvvisamente l’estate scorsa?


Di amore. O della malattia d’amore (come dice Laura Marinoni).


Amore che ansima scorrendo carsico tra le pieghe dello scandalo. Amore costretto a seppellirsi tra le sabbie di una spiaggia dove la morte viene a liberare un corpo eccessivo e inadatto, forse un po’ vizioso, che sa suscitare desiderio smodato. In tutti coloro che lo sfiorano. Un corpo bollente, opportunamente raffreddato, apparentemente, ma in realtà consumato dalla fame propria e altrui.

Un martirio pagano, un rito sacrificale che forse richiama alla mente le parole di Kurz del Cuore di tenebra.


Venendo alla storia: Sebastian, un giovane dandy, un poeta che scrive una poesia sola all’anno come compimento estenuato della vita, una tensione estrema fino al limite di schianto, viene ucciso su una spiaggia dell’Europa meridionale, a Cabeza de Lobo, una località immaginaria. Sebastian era l’oggetto d’amore di Violet, la madre aristocratica e possessiva, il vaso in cui l’esclusività di un rapporto di sangue coagula e viene represso andando a ingrossare le condotte di un desiderio diventato fantasmatico. Mitizzato e reso vivibile attraverso il suo spostamento verso forme di arte ed estetismo che compensano la perdita del rapporto carnale.


Un progetto di vita, comunque. Vita a due, dove il marito di Violet e padre di Sebastian non è contemplato. Quando Sebastian muore la madre va in protezione e si perde nella difesa a oltranza del figlio, difesa da quella verità che Catherine, la cugina di lui, propone e urla al mondo. Sebastian era omosessuale. Catherine - che lo accompagna nell’ultimo fatale viaggio della sua vita, proprio perché Violet era impossibilitata essendo stata colpita da una forma seppur lieve di ictus, lo afferma, e ribadisce che Sebastian se l’era portata al seguito perché lei gli facesse da esca per gli uomini.

Sebastian è stato ucciso e sbranato vivo da una torma di ragazzini che l’hanno stanato, famelici come lupi dai sfianchi smagriti, su per la duna di Cabeza de Lobo. Questa è la verità. Ma Violet non l’accetta. Fa imprigionare Catherine in manicomio e tenta di ottenerne la lobotomizzazione dal dott Cukrowicz, un giovane psichiatra a cui Violet promette una generosissima donazione per l’Istituto se porterà a termine l’intervento liberando, a detta sua, la povera ragazza dai deliri. Cukrowicz, seppur allettato dalla proposta, non può venir meno alla voce della sua coscienza, deve ascoltare la versione della ragazza. È una seduta psicanalitica, una confessione allucinata e allucinante. Patetica e quasi intollerabile per la violenza, il rigore di ciò che vuole comunicarsi nella sua autenticità sfrenata. Catherine vuota il sacco. Parla con ogni fibra del corpo. Non c’è dissimulazione possibile di fronte a una trasparenza del genere. Si può solo prenderne atto. E darle credito. Appurare che la persona da curare è Violet. Solo questo, non di più. Violet dovrà farsene carico da sola. Nessuna violenza su di lei, per fortuna. Vittima di sé stessa e di quella forza che è rapina.


Il dramma originale si impernia su una scena di questo genere: un edificio gotico-vittoriano nel Garden District di New Orleans. È il tardo pomeriggio di un’estate che si incammina verso l’autunno. Domina una giardino, o meglio, una sorta di giungla tropicale, o foresta, primitiva, di felci giganti, nell’epoca in cui le creature avevano pinne che andavano trasformandosi in arti, e squame che si mutavano in pelle. I colori sono violenti, soprattutto perché ribollono di calore dopo la pioggia. Ci sono enormi fiori che sembrano organi di un corpo, estirpati, ancora lucidi di sangue fresco. E i rumori. Sinistri, forti, onirici e disturbanti. Si odono grida aspre, sibilanti sfiati e fruscii furiosi, nel giardino, come se fosse abitato da bestie, serpenti e uccelli, tutti di una natura selvaggia che sta lì ad attendere acquattata nel folto per balzare fuori, le fauci spalancate.


La scena di Milano richiama questa natura invadente descritta in copione, da pianta carnivora, debordando sul palcoscenico. Ma non tutto è come sembra, ecco il pregio del teatro. Il grande e centrale intrico di piante della prima scena nasconde in realtà un’automobile in cui è ben installata Catherine. Là dentro ha assistito al colloquio tra la zia e lo psichiatra? Non sappiamo e non viene detto. Solo che lei è lì, la sua istanza cova nel folto del bosco e parlerà. Quella – tra il futuristico e lo scassato – è una macchina del tempo, l’ombelico del reale, una macchina della verità. E allo stesso tempo una macchina onirica. Attorno, e dentro all’auto accadono cose che mettono in moto la confessione, Catherine è un fiume, non può smettere, neanche di fronte alla minaccia di perdere il lume della ragione, neanche davanti alla madre e al fratello che difendono il loro diritto al soldo che Violet garantisce a fronte del silenzio della ragazza, quella meschinità (bravi, davvero, gli attori – la madre, Elena Callegari, è di un’antipatia fotonica anche se conserva quel briciolo di insicurezza che la fa tremare e la rende vicina, e dunque molto ben riuscita). Catherine si apre, si slabbra, diventa tutta parola, corpo che vibra, battuto dal tamburo di un’esperienza irrinunciabile. Archeologica e archetipica. È condanna perché chi si lascia attraversare dalla freccia del desiderio ne è trafitto. La vediamo dibattersi, Catherine, e vomitare tutto, vediamo la punta della freccia che le fuoriesce dalla bocca, tra i denti, e allarga le viscere e le parole. Solo così è possibile vivere il martirio, non rinunciando a incarnarlo, sopportandone ogni vibrazione, ogni tremolio, ogni sconquasso. Senza opporsi. Per essere liberi. Leda Kreider vola tessendo la garza della sua storia, annodandovi un sentire non più tacitabile, stracciando l’aria e respirando la sua fuga.


Legare l’esperienza di Tennessee Williams alla scrittura di questo copione è sensato e giusto. Apporta qualcosa in più? Forse no. Ma io dico di sì. guardo come il dolore si distenda, si amalgami, ne osservo le onde e i rivolgimenti. So che dentro e fuori, sotto e sopra ci sono gli assalti di ciò che si scrive. Un apprendistato lungo. Tutto il tempo necessario, tutta la carne attraversata.

 
 
 

Post recenti

Mostra tutti
Davide Morganti, Non è qui

Al centro di tutto c’è lo scandalo del sepolcro vuoto. Il corpo morto trafugato dal principio suo divino per dire che no, non è finita. Come non bastasse. Essere ancora, dunque: è questa la sfida… ma

 
 
 
Siamo tutti colpevoli di alterità

C’è corrispondenza tra senso di colpa e bisogno di dissimulazione? Tra desiderio di comprensione e necessità di nascondere il lato oscuro che ci può far perdere l’amore e il rispetto da parte dell’alt

 
 
 

Commenti


  • Facebook
  • Instagram
  • YouTube

RIMANI AGGIORNATO

SULLE ULTIME USCITE

© 2025 by ROSSELLA PRETTO

bottom of page