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Siamo tutti colpevoli di alterità

  • Immagine del redattore: Rossella Pretto
    Rossella Pretto
  • 23 ott
  • Tempo di lettura: 3 min

C’è corrispondenza tra senso di colpa e bisogno di dissimulazione? Tra desiderio di comprensione e necessità di nascondere il lato oscuro che ci può far perdere l’amore e il rispetto da parte dell’altro? È possibile essere autentici e stare dritti anche nella scomodità di ciò che in noi non ci piace e può essere avvertito come inaccettabile? A volte si crea un braccio di ferro tra colpevole e detective. Un rapporto che cambia entrambi. Non mi occupo di questo ma mi interessa ciò che ha a che fare con l’autenticità di fondo, che coltivo, e la dose essenziale di mistero, o meglio, di segreto, che sta a salvaguardia dell’individualità e del suo abisso. Non è solo nascondimento, falsificazione. È la semina dell’altro in noi - che ne siamo consapevoli o meno.


Io è un altro, diceva Rimbaud. E quell’altro deve avere spazio tra le nostre cellule, negli organi, a livello simbolico, deve avere casa perché ne riconosciamo i diritti in noi e al di fuori di noi. Deve essere interlocutore. Limite etico.


Siamo tutti colpevoli di alterità, una cosa e il suo contrario, in noi e fuori, patinati e inguardabili, angeli e mostri.


E la vergogna?


È quella che impone il camuffamento, che censura ed esclude. Ed è quella che però stabilisce la frontiera come modo del confronto, possibilità sempre praticabile, attraversamento. Bisogna custodirla conoscendola, sondando “oltre il confine”, come il romanzo di McCarthy. Se da una parte il segreto è costitutivo e sacro, dall’altra l’abbiamo delegittimato in nome di una superficie che non nasconde nessuna profondità. Sta tutta lì. Si dimostra e pretende.


Come ci ricorda Magris, essere custodi di un segreto addolora e conforta. Il mistero autentico del vivere è «il segreto del nostro stesso cuore ignoto a noi stessi». Lo sapeva Javier Marias, di cui Magris è stato attento interprete. E c’è un altro scrittore che ammiro e che fa del segreto il nodo della sua poetica, Alfredo De Dominicis. Da Trieste a Madrid arrivando fino a Napoli, il segreto è il fulcro della vera letteratura, quella che scava nell’umano affrontando il rischio di una rivelazione sconcertante, rispettandone, al contempo, ritrosie e oscurità fondamentali.


Tutto il contrario di ciò che stiamo vedendo nella realtà, in cui il potere, becero, aggressivo, esplicito nella sua arroganza, si mostra e rende pubblica anche la più orrenda delle pulsioni. Ne è un esempio il video del reuccio che spara escrementi sulla folla. Non si vergogna, non si sente in colpa e non si camuffa. È tutto dichiarato, non esiste scampo dal mostro e nessuno spazio per il doveroso silenzio che si dovrebbe stendere sulla miseria umana.


Se un tempo il segreto del potere poteva generare terrore, come nel caso di Stalin, ora la tracotanza si genera e rigenera con la complicità di chi non ha strumenti per interpretare la realtà oscena che ci troviamo a vivere. Il regno dell’Ipnocrazia. Ancora una volta, e come spesso è capitato, la letteratura può e deve fornire le chiavi di lettura per risvegliarci dall’incubo e creare una catena umana, come voleva Seamus Heaney, in grado di mirare alla globalizzazione del noi, non dei mercati, della finanza, dei soprusi, della disumanizzazione. Tornare a esercitare la facoltà critica impone di stare dentro e fuori, di essere colpevoli di alterità. Con un qb di compassione.



Rossella Pretto

 
 
 

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