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Tennessee Williams e Anna Magnani: l’amicizia mostruosa che diventò arte

  • Immagine del redattore: Rossella Pretto
    Rossella Pretto
  • 27 ago
  • Tempo di lettura: 3 min

Dicevamo di Tennessee Williams e la Magnani. Un bel po’ di tempo fa…

Un grande amore, il loro. Non nel senso dell’amore sensuale. Parlo della fratellanza che trama le anime, le creature disarmate e vaste che sanno banchettare con gli avanzi della vita traendone massimo gaudio, capaci di onorare il potenziale che tutto illumina e frange. Per un secondo appena.

Dopodiché le acque si richiuderanno per portare a fondo, ancora una volta latente, il sogno di Achab. Quella follia di naufragio...

«Siamo molto amici perché siamo tutti e due dei mostri» afferma Tennessee Williams in un’intervista doppia con la Magnani, che prosegue «Siamo come due fiumi. Non riusciamo a fermarci mai, Tenn riesce a capire tutto di me ed è l’uomo più grande del mondo».

Tenn conosce Anna nel 1950, a Parigi, dove è volato per convincere l’attrice a interpretare La rosa tatuata, dramma che ha dedicato al compagno di origini italiane, Frank Merlo, conosciuto nel 1947 (l’anno in cui vince il Pulitzer per Un tram che si chiama desiderio), a Provincetown, vera culla creativa di Williams (e ve lo riferirò, dopo la lettura di un bel libro che ho acquistato su questo argomento).

Nonostante i successi, Tennessee comincia a dare segni di depressione. L’inquietudine, la paura della morte, della fine lo attanagliano.


Parte per l’Europa. E vorrebbe farlo con solo il giradischi e la macchina da scrivere al seguito. Null’altro. Se non fosse per Elia Kazan che gli acquista abiti adatti.

Ed è la volta dell’Italia, la bella vita degli americani a Roma riuniti attorno all’ambasciata, le feste, la lascivia dei maschi, quella prestanza fisica che poi si tradurrà nelle statue della Primavera romana della signora Stone, il romanzo. L’autore rivede Merlo una volta rientrato a New York.

Ecco l’amore, quello completo, con cui torna ancora una volta in Italia, nel 1948 e oltre, quell’Italia amata in cui si susseguono straordinarie regie dei suoi lavori, come la storica di Luchino Visconti che vede protagonisti Rina Morelli, Vivi Gioi, Vittorio Gassman e Marcello Mastroianni.

La girandola di viaggi e impegni lo esaurisce. È prostrato quando torna a New York, non sa concedersi la pagina bianca. Nessuno saprebbe.

E allora riparte per Parigi, nel 1950, e incontra Anna. Le chiede di essere la sua attrice per La rosa tatuata, per entrambe le versioni, la teatrale e quella cinematografica. Lei rifiuta. Teme la recitazione in inglese. Resiste, dopo che Williams la insegue a Roma e la rivede in un caffè di via Veneto. Ma cede per l’opera cinematografica. Nel 1952 Ten è ancora in Italia – nel frattempo la vita diventa corrosiva, la scrittura non basta più, i successi spesso gli arridono ma la falla non si chiude, occorrono alcol e droghe per tenerla a bada. Anche con Frank tutto sembra precipitare. E le trattative con la Magnani sono estenuanti.

Fatto sta che nel 1953 Anna parte da Genova per gli Stati Uniti per presentare il film Bellissima. È amore ricambiato. Sa che tornerà.

Nel frattempo, Tennessee va spesso in Europa e in Italia e, nel 1954, porta alla Magnani il copione con gli ultimi ritocchi. Poi le fa firmare il contratto con la Paramount.

Grazie a quel film Anna vince l’Oscar, nel 1956. L’Oscar per Serafina.

Scrive Williams che «è solo nel proprio lavoro che un artista può trovare la realtà e la soddisfazione: il mondo reale è molto meno intenso di quello della sua finzione e, di conseguenza la sua vita, senza ricorrere a un violento disordine, non sembra essere molto concreta. La giusta condizione per un artista è quella nella quale il suo lavoro non è solo conveniente ma anche inevitabile». Tennessee parla di un disordine violento. Da cui non potrà più divincolarsi. L’amica “mostro” che molto lo capiva gli scrive, nel 1958: «Ten caro non è in noi che troviamo la via per uscire da certi stati d’animo e da certe angosce. Solo un essere dotato di un alto livello spirituale e di potente intelligenza e bontà può darci qualche conforto nelle nostre pene morali, ma tutto è relativo, il più dobbiamo farlo da noi e in noi».

Non c’è dubbio, e in questo c’entra non poco il bagaglio personale, quello intimo, che dà la mano all’artiglio di Ananke (la Necessità) - di cui parlo anche nel romanzo che si sta facendo e che nei precedenti post si è affacciato per un breve saluto, e ancora dirà del male che bussa alla gola e non sa comporsi. Gratta e graffia. Scortica e denuda.

Alla prossima per sapere della protagonista del libro: una ballerina, ma… sui generis…

 
 
 

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